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LA RETE WEB E LE SUE INSIDIE

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CONTATTI

 

 

Il mondo della rete ha moltiplicato i contatti tra ragazzi della stessa età e ha quasi spaccato la comunicazione con la generazione precedente, quella dei genitori. Tutti siamo stati adolescenti e in quel periodo il parere di un amico spesso superava il consiglio di un parente, tutti abbiamo sofferto o trasgredito le regole, tutti ci siamo sentiti incompresi, tutti siamo stati incoscienti.

 Oggi, una volta diventati genitori, al posto di una comunicazione difficile ci si trova di fronte ad una sorta di incomunicabilità, di silenzio e al posto di un sano conflitto ci si trova davanti ad un vuoto, o meglio, ad un’assenza.

Entrare in relazione con un adolescente significa rendersi conto di quanto è diventato distante, quando trascorre ore davanti al computer sembra impermeabile al resto del mondo e se glielo si fa notare, dopo aver guardato con aria perplessa, rassicura, spiegando che “non c’è niente di male”. Se però gli si impedisce la connessione, preoccupati per il tempo sottratto allo studio, reagisce con aggressività. Come operatori del dipartimento delle dipendenze patologiche ci siamo chiesti se questa aggressività rappresenti una resistenza a svolgere i propri doveri scolastici o, peggio, sia un sintomo legato allo sviluppo di una dipendenza.

 Sicuramente la consapevolezza di essere diventati internet-dipendenti si sviluppa raramente, così come raramente assistiamo alla comparsa di manifesti sintomi astinenziali stante la facilità e la frequenza con cui è possibile connettersi in rete: basta un telefono cellulare o il computer di un amico per non viverne la mancanza.

È più frequente notare segni di cambiamento silenziosi nel modo di vivere e di pensare che inducono i giovani a diminuire le relazioni personali vissute fuori casa e a incrementare invece quelle mediate dal computer: le relazioni on line diventano patologiche soltanto se non sono più in funzione della realtà ma tendono a sostituirla. Il resto fa inevitabilmente parte di un’evoluzione nel modo di stare al mondo, evidente nei più giovani, nati e cresciuti nell’era digitale.

Tutto ciò genera in noi più diffidenza che curiosità, poiché la vita ci ha insegnato a dubitare di ciò che non conosciamo e, in genere, l’ignoto è fonte di allarme. Conosciamo i pericoli di internet e ne sentiamo parlare sempre più spesso da stampa e TV, cioè da quei mezzi di comunicazione convenzionali a cui siamo più abituati e di cui tendiamo a fidarci.

Sappiamo bene che in rete si possono fare incontri spiacevoli e talvolta pericolosi per i nostri figli. Ma il nostro compito e lo scopo di questo manuale è quello di aiutare bambini ed adolescenti a crescere bene nell’era della multimedialità.

Secondo il Glossario Informatico Internet (dalla locuzione inglese Interconnected Networks, ovvero Reti Interconnesse) è una rete di computer mondiale ad accesso pubblico che attualmente rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa. Concepito nel 1969 dal Governo degli Stati Uniti d’America e noto all’inizio come ARPAnet, originariamente Internet aveva sia uno scopo di tipo militare, per creare un sistema di comunicazioni in grado di sopravvivere ad un attacco nucleare basato sul sistema della trasmissione mediante commutazione di pacchetto (packet switching), sia a livello di ricerca per collegare le Università statunitensi al fine di effettuare lavori di ricerca e scambio dati. Ad oggi il suo utilizzo è esteso a molte altre operazioni: si naviga per vedere film, scaricare musica, cercare informazioni, per comunicare tramite i social network.

Un social network è un ambiente web in cui gli utenti possono connettersi, comunicare e condividere informazioni in modo personale. Classici esempi di social network sono Facebook, Myspace, Orkut, Linkedin che hanno tutti in comune le funzioni fondamentali di comunicazione ed interconnessione tra utenti.

La chat, strumento molto usato nei social network, è una chiacchierata che avviene in rete “in tempo reale”, uno scambio di messaggi che vengono inviati con la tastiera, e che appaiono in successione sullo schermo.

Alla conversazione possono partecipare due o più utenti della rete – in teoria perfino un centinaio o un migliaio! Si formerà così un gruppo o stanza di conversazione (chatroom). La chat è un servizio aperto a tutti, a cui si può partecipare dopo essersi registrati con un nome inventato, il cosiddetto nickname.

 Questo serve ad evitare le invasioni poco gradite nella vita privata di ciascuno dei chatter, ma può presentare qualche rischio: nella chat “chiunque può fingersi chiunque!”. Ad esempio un ragazzo può fingersi donna o persona anziana, così come un adulto con cattive intenzioni può mostrarsi buono e gentile o fingere di essere un adolescente.

Anche noi adulti, grazie al nostro lavoro, abbiamo imparato a trascorrere una parte del nostro tempo collegati ad internet, soprattutto per cercare informazioni e per la gestione della posta elettronica: difficilmente dedichiamo una parte considerevole del nostro tempo per scaricare brani musicali e films o per essere connessi con i social network.

Al contrario, per ragazzi e ragazze a partire da un’età sempre più bassa, internet assume un ruolo assolutamente centrale nella loro vita ed ha un ruolo costitutivo della loro identità sociale e personale. Gli strumenti messi a disposizione dei ragazzi permettono loro di essere sempre in contatto con chiunque, di accrescere il numero delle loro “amicizie”, di mantenere quelle già esistenti, di condividere interessi, di aggregarsi ad altre persone con cui condividono interessi e passioni, sperimentando molteplici identità e navigando continuamente tra mondo reale e mondo virtuale.

Da un punto di vista culturale, possono conoscere ed approfondire qualunque argomento del passato e del presente con una velocità di gran lunga superiore a quella di una qualunque enciclopedia. Accanto a questi aspetti positivi, ne esistono altri di natura più problematica ai quali i genitori è giusto che prestino attenzione: certamente esiste per i ragazzi il rischio concreto di sviluppare una tendenza all’isolamento sociale con un aumento progressivo del tempo trascorso in rete, di imbattersi in situazioni “false”, di essere influenzati da esempi di comportamento inadeguati e dannosi, di essere adescati “on line” da adulti potenziali abusatori di minori, oppure di essere vittime di cyberbullismo.

 I genitori, dal canto loro, che in una prima fase hanno, spesso senza volerlo, incentivato l’uso di internet in quanto funzionale ad un ruolo di baby-sitting a domicilio, per tamponare la carenza della loro presenza, nel momento in cui la situazione è sfuggita loro di mano, hanno iniziato a manifestare ansia e preoccupazione, limitando comunque il dialogo con i propri figli e ricorrendo, spesso in modo esclusivo, a comportamenti sanzionatori e punitivi.

A nostro parere, quindi, il genitore dovrebbe favorire il dialogo in modo tale da chiarire che l’utilizzo della rete deve avvenire in maniera matura, incentivando la funzione più squisitamente didattica per fare delle ricerche anche insieme ai compagni di scuola e laddove dovesse rendersi conto di un utilizzo scorretto della rete dovrebbe mettere in atto misure restrittive.

Nei casi in cui un genitore, per motivi di lavoro, non dovesse essere in grado di controllare la navigazione del proprio figlio (soprattutto nei casi di bambini più piccoli), potrebbe avvalersi dell’ausilio dei filtri (trattasi di software che si installano sul computer e che stabiliscono quali contenuti sono disponibili e servono a prevenire la visione di contenuti inadeguati per un’utenza più giovane) che limitano l’accesso ai siti mediante selezione e controllo degli stessi. In questo caso sarebbe opportuno selezionare il tipo di filtro in funzione dell’età evolutiva del minore e di condividere con il diretto interessato le motivazioni di una tale scelta in modo da ridurre l’entità di un eventuale conflitto.

Un’attenzione a parte merita, a nostro avviso, il capitolo degli adulti potenziali abusatori di minori in rete: la maggior parte dei genitori, a giusta ragione, teme che il proprio figlio possa essere adescato on line oppure tramite cellulare. La fascia di età più a rischio è quella della pre-adolescenza (11-14 anni), cioè quella in cui sono più evidenti i cambiamenti del corpo e le pulsioni sessuali non accompagnate da un completo sviluppo fisico e da un adeguato sviluppo psicologico. Gli adulti interessati sessualmente ai minori utilizzano tutti gli strumenti messi a disposizione della rete (social network, chat) nonché i cellulari per entrare in contatto con ragazze e ragazzi (contrariamente a quanto si possa pensare non sono solo le ragazze ad essere esposte a questo rischio: anche i maschietti, disorientati rispetto alla propria identità sessuale possono risultare vulnerabili e quindi ugualmente esposti alla possibilità di entrare in contatto con potenziali abusatori).

Esiste una tecnica di manipolazione psicologica denominata “grooming” (tratto dall’inglese to groom: prendersi cura) che gli adulti utilizzano on line per indurre i ragazzi a superare le resistenze emotive ad intraprendere una relazione intima e/o sessuale con l’adulto.

Questa tecnica riconosce varie fasi distinte: dapprima il potenziale abusante si informa su livello di “privacy” di cui gode il minore rispetto alla localizzazione del computer e alla eventuale presenza dei genitori. Dopo aver ottenuto queste informazioni inizia la fase volta a costruire un rapporto di fiducia con il minore, anche attraverso la condivisione di vari interessi (musica, film preferiti, hobby, ecc.), per poi passare a confidenze sempre più intime durante le quali può iniziare lo scambio di immagini (non necessariamente a sfondo sessuale).

Quando l’adulto è sicuro di non essere scoperto, inizia la fase in cui la relazione diventa impenetrabile agli esterni: è questa la fase in cui inizia lo scambio di materiale pedopornografico e durante la quale l’adulto fa richiesta al minore di foto e video che successivamente potrebbero essere usate come ricatto nel caso in cui il minore volesse interrompere la relazione on line o rifiutarsi ad iniziarne una reale. In questi casi è fondamentale che un genitore faccia sentire al figlio la propria presenza vigilando con attenzione e discrezione su come trascorre il tempo che aiuti il figlio ad esprimere i propri sentimenti e, nel caso commettano qualche errore, far comprendere loro fin da quando sono piccoli che “possono contare su di te” qualunque cosa abbiano fatto.

La denominazione Internet Addiction Disorder (IAD) ha un’origine assai originale: è stata introdotta per la prima volta nel 1995 dallo psichiatra americano Ivan Goldberg il quale, in maniera ironica e provocatoriamente, pubblicò su internet i criteri diagnostici di una condizione psicopatologica che identificò come la Sindrome da Dipendenza da Internet, descrivendo un quadro clinico per molti versi simile a quello della dipendenza da sostanze (comparsa di fenomeni di craving, tolleranza e astinenza, difficoltà ad interromperne o ridurne l’uso nonostante le conseguenze negative nell’ambito familiare, sociale e lavorativo/scolastico).

 Sempre nel 1995, Griffiths definisce le technological addictions  come dipendenze comportamentali, caratterizzate dagli stessi aspetti nucleari che ricorrono nella dipendenza da sostanza e che implicano una interazione “tra uomo e macchina” di tipo tendenzialmente passivo (come nel caso della televisione) o di tipo prevalentemente attivo (come nel caso dei videogames). Presso l’Università di Pittsburgh, nel 1996, Young , utilizzando come modello la diagnosi del gioco d’azzardo patologico presente nel DSM IV, ha definito la dipendenza da internet come un disturbo nel controllo degli impulsi che non implica l’assunzione di sostanze.

Pertanto nonostante ancora oggi la IAD non sia ancora riconosciuta dal punto di vista nosologico, esiste come comportamento osservabile. Si tratta di un comportamento che può avere un impatto negativo sulla vita di chi lo presenta, poiché è un comportamento che disturba la vita familiare e di relazione.

 Questo fenomeno si è visto essere molto frequente anche fra bambini ed adolescenti anche grazie allo sviluppo e alla rapida diffusione dei social network che hanno di fatto trasformato le modalità di comunicazione dei nostri ragazzi per i quali se usano Internet seguendo le regole stabilite dai genitori, e se i genitori seguono giuste strategie educative e di controllo, il rischio di Internet dipendenza si riduce notevolmente.

D’altronde è necessario saper captare segnali che potrebbero indicare una predisposizione a sviluppare questo disturbo, magari in età successive, per poterlo prevenire. La dipendenza può essere generale, o può essere focalizzata su una specifica attività. Le attività in rete che tendono a generare più facilmente la dipendenza sono chat, blog, giochi online, navigazione sul web. Negli adulti sono molto frequenti anche la dipendenza da chat erotiche, il gioco d’azzardo online, lo shopping compulsivo, l’exercise addiction, ecc. L’interesse per Internet inizialmente può confondersi con il normale entusiasmo che bambini e adolescenti mostrano per le cose che li appassionano Per intervenire in tempo è utile prestare attenzione ad alcuni segnali, da considerare tuttavia con molta cautela poiché il fatto che un figlio presenti un paio dei sintomi descritti non fa di lui in Internet dipendente:

 

La letteratura ci dice che attualmente circa il 13% degli adolescenti italiani (prevalentemente maschi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni) è affetto da IAD, trascorrendo almeno 36 ore alla settimana in internet.

DIPENDENZA DA FACEBOOK E DA ALTRI SOCIAL NETWORK

Nel 2008 la diffusione di Facebook è stata così esponenziale da posizionare l’Italia al primo posto della classifica mondiale dei paesi con maggiore percentuale di incremento utenti, per cui in breve tempo Facebook, come gli altri “Social Networks”, sono diventati una sorta di aggregatori di persone che cercano e vogliono mantenere contatti con vecchi e nuovi amici, condividendo foto, video e contenuti della propria vita. In pochi anni Facebook è divenuto uno dei dieci siti maggiormente cliccati e frequentati del web, acquisendo in breve tempo milioni e milioni di utenti in tutto il globo. Anche molti personaggi dello spettacolo, importanti e conosciuti manager e politici di spicco hanno aperto una loro pagina personale su Facebook e su altri diffusissimi Social Networks (ad esempio su MySpace o su Twitter).

In tal modo si è ancor più acceso ed alimentato l’interesse e l’adesione a tali forme di collegamento e condivisione sociale. Purtroppo però, accanto alle caratteristiche positive di visibilità, aggregazione, condivisione, recupero di vecchie conoscenze ed amicizie e nascita di nuove, sono comparse anche delle note assai negative, che in taluni casi possono portare a vere e proprie forme di dipendenza. In inglese vengono definite “Social Network addiction” e “Friendship addiction” e sono una sorta di dipendenza da connessione, aggiornamento e controllo della propria pagina web e da amicizia (detta anche amicodipendenza), o meglio la ricerca di nuove amicizie virtuali da poter registrare sul proprio profilo.

Con l’utilizzo dei Social Networks già molte persone mostrano segni sempre più seri di dipendenza, con la necessità di stare collegati e/o aggiornare i contenuti personali della propria pagina sempre più di frequente per raggiungere la medesima sensazione di appagamento; possono comparire sintomi di Astinenza, cioè la sperimentazione di intensi disagi psico-fisici nel caso non ci si colleghi per un certo periodo tempo nonchè sintomi di Craving, ovvero la presenza sempre maggiore di pensieri fissi e di forte impulso verso la successiva connessione.

La dipendenza dai Social Networks sembra essere dovuta al forte senso di sicurezza, di personalità e di socialità (in una società sempre meno connotata dai contatti sociali) che tali forme di siti sono in grado di fornire. In realtà tutte queste dinamiche psico-emotive personali ed interpersonali si basano su qualcosa di virtuale, che d’altro canto accrescono sicurezza ed autostima fittizie che ben presto potrebbero condurre ad isolamento sociale e conseguente menomazione delle principali sfere della vita personale quali quelle lavorativa, familiare, sociale, affettiva, etc. Per quanto fin qui detto Facebook e gli altri Networks sociali “funzionano” mascherando le personali ansie, preoccupazioni, sbalzi d’umore e il proprio senso di disistima e di solitudine. In tal modo le richieste di nuove amicizie risultano quasi un riempimento, una conferma e/o un rafforzamento del proprio ego.

Si parla di amicizia data e di amicizia richiesta, ma le amicizie che si creano sui Social Networks non sono reali e spesso le due persone non si sono mai conosciute veramente e magari non si conosceranno mai in futuro. Attraverso la connessione a questi siti, a livello cerebrale vengono rilasciate maggiori quantità di sostanze psico-attivanti e a livello mentale si creano meccanismi e schemi ricompensatori che portano al riutilizzo continuo e sempre maggiore.

Quando la connessione non è possibile, si presentano allora sintomi psicologici come ansia, pensieri fissi, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a stati depressivi, attacchi di panico, paura (ad esempio di non avere più informazioni o rimanere da soli), nonchè problemi di sonno, insicurezza, suscettibilità, etc. Ad essi si aggiungono problemi sociali, familiari, affettivi e lavorativi quali ritardi o assenze a scuola o a lavoro (con rischio di perdita dello stesso), graduale isolamento, distorsione dei rapporti affettivi e sociali, disgregazione dal gruppo familiare ed amicale.

Anche a livello fisico possono subentrare molteplici problemi come ad esempio emicrania, stress oculare, ipersudorazione, tachicardia, tensioni, crampi e/o dolori muscolari (a causa delle numerose ore passate davanti al computer), forte stanchezza. Infine la dipendenza da Social Networks può facilitare o associarsi ad altre tipologie di dipendenza connotate dall’utilizzo disfunzionale del web come la dipendenza da contenuti pornografici online

DIPENDENZA DA VIDEOGAMES

 

 Si parla di Dipendenza o Addiction quando una persona instaura un rapporto di “subordinazione” con una sostanza, attività o comportamento che si rende necessario ai fini del benessere del soggetto. La dipendenza da videogiochi, come ogni altra dipendenza, vincola il soggetto a dedicare ingenti quantità di tempo ai videogames compromettendo tutti gli ambiti della vita (ambito scolastico, relazioni sociali e familiari).

La dipendenza da video giochi comporta fenomeni di tolleranza e sintomi di astinenza, per cui il soggetto è costretto ad aumentare progressivamente le “quantità” di tempo trascorso a giocare per ottenere il livello di eccitazione ed appagamento desiderato mentre l’astinenza comporta una serie di sintomi psico-fisici (irrequietezza, agitazione, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno e dell’umore, pensieri ossessivi riferiti ai video giochi, ecc.) che si manifestano quando il soggetto è impossibilitato a giocare. Le principali conseguenze dovute alla dipendenza da videogames possono essere:

 

 In conclusione, ci preme sottolineare i possibili effetti che la Dipendenza da Video giochi potrebbe avere sulle personalità più deboli (per esempio negli adolescenti in cui il processo di identificazione è ancora in atto) per le quali si realizza una sorta di “fuga dalla realtà” che risulta essere insoddisfacente e noiosa a vantaggio dell’ambiente virtuale all’interno del quale trovano rifugio. Pertanto, anche rispetto alla “realtà multimediale”, occorrerebbe un’adeguata educazione rivolta agli adolescenti, sia in riferimento al gioco, sia in riferimento alla differenziazione tra la realtà virtuale e quella quotidiana.

Del resto appare evidente, come ha sottolineato C. Guareschi che la realtà virtuale può offrire stimoli maggiori soprattutto alle personalità più deboli, consente una facile identificazione con gli eroi virtuali dei videogames e permette di estranearsi dalla noia, sentimento principe per molti adolescenti. Insegnare a distinguere tra queste due realtà (compito che a mio avviso le Istituzioni e le principali agenzie formative ed educative, tra tutte la scuola, non possono trascurare) significa

 

 GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

 

 Il gioco d’azzardo patologico (G.A.P.) è da considerarsi una malattia cronica ad andamento progressivo e invalidante, che presenta numerose analogie con la clinica delle dipendenze a cui frequentemente si associa. Si può paragonare ad una “droga invisibile”, per cui risulta molto complicato comprenderne l’origine, valutare precocemente i fattori di rischio e formulare una diagnosi ed un protocollo terapeutico adeguati. Questa malattia esordisce durante l’adolescenza, periodo evolutivo critico caratterizzato da disagio psichico. Di conseguenza, è importante sapere identificare il livello di sofferenza psicologica, conoscere il contesto ambientale culturale e sociale del ragazzo per riuscire a stimare il rischio evolutivo.

Il G.A.P. appare in questo ambito uno strumento per agire i propri conflitti e lenire il dolore in una struttura di personalità fragile ed in formazione. Spesso si osserva la mancanza di figure adulte di riferimento, che si propongono come “mediatori stabili” in modo tale da stimolare e sostenere il normale processo di crescita ed offrire soprattutto uno spazio di ascolto adeguato. È necessario pertanto poter organizzare servizi mirati a individuare ed alleviare il disagio giovanile, creare una rete territoriale di sostegno efficace a partire dalla scuola all’interno del gruppo classe e dalla famiglia, con l’obiettivo di informare ed educare per riuscire a valorizzare le competenze sociali e favorire le loro capacità di critica e di conseguenza le possibilità di scelta.

Potenziare le risorse territoriali (sportelli di ascolto nelle scuole, ambulatori specialistici, creazione di protocolli di cura e diagnosi condivisibili ed offerta di una formazione continua degli operatori), investire in attività di ricerca e studio di tale fenomeno, stimolare la formazione di una sensibilità sociale, politica ed istituzionale, mirata a comprendere le esigenze evolutive dei ragazzi, con obiettivi che siano di sostegno all’adolescente nell’affrontare i suoi problemi e che possano incrementare la sua capacità di chiedere aiuto, invece di proporre interventi a sfondo per lo più “repressivo”. intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per procurarsi denaro con cui giocare)

 

Se il soggetto presenta almeno cinque di questi sintomi, viene diagnosticato un quadro di gioco d’azzardo patologico (DSM-IV, 1994)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

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